mercoledì 15 giugno 2016

La bellezza della natura e il locus amoenus, di Giuseppe Palmese


La bellezza della natura e il locus amoenus
Il locus amoenus è un topos letterario, cioè un luogo comune della letteratura, che sfrutta la bellezza di un giardino o di un angolo naturale per comunicare significati di rilievo. Qui di seguito, il saggio molto bello svolto da uno studente della 3M (ora promosso in 4M), Giuseppe. Alla prossima puntata l'altro che avevo selezionato, quello di Francesca.
La natura, la forza che genera e governa l'universo, rappresenta da sempre un simbolo di bellezza e mistero. Sin dalle origini, l'uomo, per soddisfare le proprie esigenze, ha sviluppato un sentimento di appartenenza alla natura. Rifacendosi al suo aspetto enigmatico, gli uomini primitivi riuscirono a rispondere alle prime grandi domande sulla vita, concependo la natura e le sue manifestazioni, ad esempio le catastrofi naturali e le stagioni, come immagini del divino. La potenza, la bellezza e la maestosità della natura portarono gli uomini a considerarla come prova di un'entità superiore e sovrannaturale che regnava su tutto.
In età classica, il legame tra uomo e natura si concretizza nella poesia come idea d'armonia. Il paesaggio è inteso come una raffigurazione composta da singoli elementi, che si uniscono a creare una visione omogenea, nella quale l'uomo diventa parte integrante. Da questa idea di natura nasce nella poesia classica il locus amoenus, che costituisce uno dei principali topoi usati dai poeti per rappresentare un ideale di perfezione. La ricchezza della vegetazione, la fertilità, la luce e la presenza d'acqua e d'aria fresca sono gli elementi essenziali per la descrizione del locus amoenus, che, letteralmente, significa "luogo meraviglioso". La  natura viene così stereotipata, trasfigurata e idealizzata, caratterizzata da una pace quasi divina.
Ampiamente utilizzato nella letteratura classica, questo motivo letterario affonda le sue origini nella poesia omerica, in cui si trovano le prime descrizioni di giardini riconducibili al modello del locus amoenus.
Grandi alberi rigogliosi vi crescono, peri e granati e meli con splendidi frutti, fichi dolcissimi e piante rigogliose d'ulivo. Mai il loro frutto marcisce o finisce, né in inverno, né in estate: è perenne (Od.VII,114-18).
Con queste parole, Omero descrive nell'Odissea il giardino dei Feaci. Quest'ultimo, simbolo di bellezza e benevolenza divina, è soggetto ad un'eterna primavera, testimoniata da alberi dotati sia di frutti maturi, che di frutti acerbi, in quanto seguono un ciclo continuo. La descrizione omerica del giardino, tratteggiata mediante il motivo del locus amoenus, è comparabile a quella riportata nella Genesi riguardo al giardino dell'Eden, il paradiso terrestre creato da Dio. Da questa riflessione si deduce che i poeti si servirono del locus amoenus come espediente letterario per creare uno scenario utopico.
Questo concetto è stato ripreso nel I sec.a.C. da due grandi poeti della latinità. Sia nelle Bucoliche virgiliane, sia nelle Metamorfosi di Ovidio, viene evidenziata la ricerca di un paradiso terrestre in cui regni l'armonia tra l'uomo e la natura. Mentre in Ovidio si percepisce il legame tra il locus amoenus e gli dei, come nei miti cosmologici di Apollo e Dafne, o di Cerere e Proserpina, in Virgilio emerge, oltre alla felicità ricavata dalla vita campestre, il carattere idealizzato di questo topos, in quanto nell'opera vengono omesse la miseria e le fatiche che affliggevano i pastori suoi protagonisti.
Il giardino della maga Armida, descritto da Tasso nella Gerusalemme liberata, è un chiaro esempio di locus amoenus, ma il poeta sottolinea nei suoi versi l'irrealtà di questo luogo, in quanto lo spettacolo offerto dalla natura è frutto della magia di Armida:
E quel che 'l bello e 'l caro accresce a 'l opre,
l'arte, che tutto fa, nulla si scopre (Gerusalemme liberata, XVI,9).
Il locus amoenus, oltre a proporre un luogo paradisiaco per la propria bellezza, si mostra infatti come luogo di fuga dalla realtà, lontano dai pericoli e dallo scompiglio urbano. Giovanni Boccaccio, nel Decameron, all'inizio della terza giornata, dedica una cospicua parte della narrazione alla descrizione del giardino nel quale si rifugiano i dieci giovani. Il locus amoenus del Decameron ha tutte le fattezze di un paradiso e la natura stimola non esclusivamente la vista, ma anche tutti gli altri sensi. La compagnia di novellatori sceglie questo giardino proprio come via di fuga al fine di evadere dalla città colpita dalla peste e dalla decadenza dei costumi. Un aspetto analogo si trova nella corrente filosofica dell'epicureismo, secondo la quale il raggiungimento della felicità individuale avviene con il ritiro nel Giardino, fondato da Epicuro, lontano dal turbamento e dall'affanno cittadino, per perseguire una vita semplice, dedicata ai valori fondamentali, quali l'amore e l'amicizia.
Il locus amoenus ha interessato inoltre la poesia di altri poeti italiani, come Petrarca e D'Annunzio, che lo hanno affiancato alla figura dell'amata. La donna diventa parte integrante di questo spettacolo nella canzone Chiare, fresche e dolci acque, nella quale Petrarca ricorda la sua amata Laura, descrivendola insieme a un locus amoenus, che simboleggia proprio la bellezza. Nella poesia di D'Annunzio La pioggia nel pineto, si ha invece un'evoluzione del legame tra la donna e la natura: Ermione sembra compiere una metamorfosi, trasformandosi in una ninfa ed entrando così a far parte dello spettacolo naturale descritto.
Riferimenti al locus amoenus sono presenti anche nella letteratura anglosassone; Oscar Wilde, nella favola The Selfish Giant, ambienta la storia in un bellissimo giardino, la cui descrizione riconduce alla contemplazione di un paradiso terrestre, come facevano i poeti antichi. Questo motivo letterario inoltre trova anche grande spazio nella letteratura contemporanea, soprattutto nel genere fantasy. J.Tolkien, ad esempio, si è servito più volte dell'immagine del locus amoenus per tracciare gli scenari della sua celebre saga Il signore degli anelli. In particolare, nel suo libro Silmarillion, egli descrive l'incontro tra Beren e l'elfa Luthien proprio in un locus amoenus, nel quale la bellezza della  natura e quella di Luthien si fondono, lasciando meravigliato Beren.
Nel corso della storia della letteratura, il pensiero poetico riguardo alla bellezza della natura e ad essa come fonte di ispirazione, è andato però incontro a visioni diverse da quella del locus amoenus. Giacomo Leopardi è stato portatore di un pensiero rivoluzionario riguardo alla natura, definendola "matrigna degli uomini". Nelle sue poesie viene più volte evidenziata la sua visione pessimistica della natura, che illude gli uomini procurando loro sofferenza. Tra i letterati italiani, Giovanni Pascoli è stato un altro poeta che dedicò molta della sua produzione al tema della natura. Nelle sue poesie, essa diventa simbolo di un universo misterioso, legato alle emozioni dell'autore.
Il locus amoenus, oltre a essere un grande motivo letterario, ha avuto spazio anche in altre forme artistiche, quali la pittura e, oggi, anche la cinematografia. Sebbene sia un concetto molto idealizzato, si può accostare ai giardini pensili di Babilonia, una delle sette meraviglie del mondo antico, o al giardino biblico dell'Eden. La natura, grazie alla sua bellezza e al velo di mistero che la ricopre, nonostante le scoperte conseguite in ambito scientifico, continua tuttora a sorprendere gli uomini nella loro vita. Insieme all'amore, essa rimane la forma di ispirazione artistica più importante della storia, a prova di ciò che Seneca sosteneva con la frase: "Tutta l'arte è imitazione della natura".

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