Categorie - Categories
Amore
(13)
Bei libri da leggere
(12)
Cose belle - Beautiful things
(65)
Finnish for dummies - Finlandese per imbranati
(5)
Geopolitica per i miei studenti - Geopolitics for my students
(8)
I miei libri...Il mio romanzo.
(10)
Il mondo di Zenda
(2)
La mia cucina Ma cuisine
(82)
Manipulators and family abuses
(17)
Memories of school
(17)
My cinema
(43)
Poesie di Annarita
(90)
Roba di scuola
(18)
School memories
(10)
The spiritual corner
(47)
sabato 11 giugno 2016
Ascensore per il patibolo - Ascenseur pour l'echafaud - Elevator to the Gallows (Louis Malle, 1957)
Ascensore per il patibolo
Il crimine non paga, anzi, è roba da imbecilli: forse mai una pellicola l'ha dimostrato in modo altrettanto diretto e brillante, coll'humour nero più godibile che mi abbia mia fatto ridere, quanto Ascensore per il patibolo, l'opera prima del grande regista francese Louis Malle, morto nel 1995. L'ascensore del titolo potrebbe apparire un'ardita metafora della ghigliottina: invece è, come vedremo, spaventosamente, penosamente reale. Se si dovesse inventare un sottotitolo, si potrebbe proporre: "Quando tutto, in un crimine, va storto". Ovvero, il delitto perfetto non esiste.
Nella prima inquadratura, troviamo un intenso primissimo piano di Jeanne Moreau (la cui carriera fece un balzo in avanti dopo questo film), che pronuncia languidamente al telefono: "Je t''aime". Si tratta di Florence, ricca moglie di un imprenditore petrolifero, che è al telefono con l'amante, Julien, un aitante ex-paracadutista (Maurice Ronet). Le sequenze successive esplicitano il piano: un sabato pomeriggio, quando la sede dell'impresa si svuota e il presidente, il marito di Florence, è atteso fuori Parigi, Julien esce di soppiatto dal suo ufficio, raggiunge con una corda quello del presidente, quindi gli spara e inscena un suicidio, mettendo l'arma nella mano della vittima. Parrebbe un delitto perfetto: ma quando Julien raggiunge la sua auto in strada, pronto a raggiungere l'amante che lo attende trepidante in un caffè, si accorge che ha lasciato la corda a pendere dalla finestra della vittima. Indispettito per aver commesso un errore tanto stupido, rientra di corsa nell'edificio: in tempo perché, mentre prende l'ascensore, la guardia giurata stacchi la corrente, imprigionandolo nella cabina....Potete immaginare come va a finire.
Aggiungo solo che, nel frattempo, due giovani del quartiere si impossessano della sua auto e combinano una sfilza di guai e reati, che addebitano al povero Julien; la scena più divertente e paradossale del film avviene quando l'uomo, finalmente liberato dall'ascensore, deve presentare un alibi alla polizia per scagionarsi dia reati commessi con la sua auto e gli sperimentati poliziotti della Police judiciaire di Parigi (gli stessi di Maigret), lo rimbeccano: "Senta, noi possiamo credere a tutto come alibi: mogli, amanti, incidenti, disgrazie: ma che uno resti intrappolato in un ascensore, questo proprio no!". Un alibi del genere farebbe ridere i giurati fino alle lacrime....
Il nocciolo del film, però, è altrove. Malle, che proveniva dal mondo dell'alta borghesia, era molto critico con questo ambiente: e il vero scopo del suo film è quello di rivelare la noia e il vuoto morale, pieno di illusioni vane, capricci e fisime, di un certo mondo di ricchi. Il vero cuore della vicenda è infatti Florence, che, non vedendo arrivare l'amante all'appuntamento, inizia a vagare senza scopo per una Parigi notturna tra caffè in chiusura, folla anonima, traffico, pioggia, malinconia e luci: è la Parigi capitale del noir, triste, malinconica, scenario di un vuoto esistenziale che ricorda lo spleen di Baudelaire. La Moreau (che, non a caso, ha le più belle occhiaie che abbia mai visto al cinema) recita alla perfezione il ruolo di questa donna ricca, priva di scopi, che vaga senza meta nella vita, come per le strade di Parigi. L'atmosfera viene sottolineata magicamente dalla celebre tromba di Miles Davis, cui risale la splendida colonna sonora blues. Inoltre, vale la pena ricordare anche la magnifica fotografia in bianco e nero: molte immagini sono costruite in maniera geometrica, quasi a sottolineare un senso claustrofobico di chiusura. E' il mondo di chi non ha scopi buoni nella vita e finisce per gettarla al vento, dissipandola in modo irresponsabile.
Elevator to the Gallows (Louis Malle, 1957)
Crime does not pay, in fact, it is for fools: if ever a film has shown it in a direct and brilliant way, by the most enjoyable black humour, this is Elevator to the Gallows, the first work by great French director Louis Malle, who died in 1995. The title about the elevator might seem a bold metaphor of the guillotine: instead it is, as we shall see, dreadfully, painfully real. If we were to invent a subtitle, we might propose: "When everything, in a crime, goes wrong." That is, the perfect crime does not exist.
In the first shot, we find an intense first plan of Jeanne Moreau (whose career improved enormously after this film), who pronounces languidly on the phone: "Je t''aime". It is Florence, the rich wife of an oil entrepreneur, on the phone with her lover, Julien, a handsome ex-paratrooper (Maurice Ronet). Subsequent sequences make explicit the plan: a Saturday afternoon, when the head office of the company is empty and the president, Florence's husband, is expected outside Paris, Julien sneaks out of his office, reaches by a rope the President's one, then shots shim and stages a suicide, putting the weapon in the victim's hand. It would seem a perfect crime: but when Julien reaches his car in the street, ready to reach his lover who is anxiously waiting for him in a cafe, he realizes that he has left the rope hanging from the victim's window. Angry for having committed such a stupid mistake, he runs back to the building: on time, because, as he takes the elevator, the officer switches the power off, imprisoning him in the cabin .... You can imagine the end.
I add only that, in the meantime, two young people of the neighborhood take possession of his car, and make a slew of crimes, later attributed to poor Julien; the funniest and most paradoxical scene of the film takes place when the man, finally freed from the elevator, must present an alibi to the police, so that he can be exonerated from the crimes committed by his car; and the experienced officers of the Judicial Police in Paris (the same ones of Maigret), tell him: "Look, we can believe in everything as an alibi: wives, lovers, accidents, misfortunes: but that one remains trapped in an elevator, we can't!". An alibi like that would make laugh jurors....
The gist of the film, however, lies elsewhere. Malle, who came from the world of the upper class, was very critical with this environment and the real purpose of his film it is to reveal the boredom and moral vacuum, full of vain illusions, whims and fancies, of some rich people. The real heart of the story is in fact Florence, who, missing her lover, starts to wander aimlessly in Paris, among closing cafes, anonymous crowds, traffic, rain, melancholy and lights: Paris is the capital of noir, sad, a perfect scenario for melancholy, and the existential emptiness reminiscent of the spleen of Baudelaire. Moreau (who, not surprisingly, has the most beautiful dark circles I've ever seen in movies) plays to perfection the role of this rich woman, devoid of purpose, wandering aimlessly in life, as in the streets of Paris. The atmosphere is magically highlighted by the famous trumpet of Miles Davis, who created the beautiful blues of the soundtrack. In addition, it is also worth remembering the magnificent black and white photography: many images are built in a geometric way, as to emphasize a sense of claustrophobic closure . It's the world of those who have no good goals and end up throwing their life to the wind, dissipating it irresponsibly.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento