giovedì 31 marzo 2016

L'amore (e il sesso) al tempo....dei manichini - Love (and sex) at the time of....mannequins


L'amore (e il sesso) al tempo....dei manichini.

Vorrei ripartire da questo splendido quadro di Giorgio De Chirico, Ettore e Andromaca, dipinto nel 1915 qui a Ferrara. Lo amo molto, così come amo molto il passo omerico (Iliade, VI, 390-502) cui si ispira. Vi riassumo la vicenda iliadica, poi passo di nuovo al quadro.
Siamo sul più vivo dell'assedio greco a Troia. Il principe Ettore, figlio del re Priamo e comandante in capo delle forze troiane, lotta disperatamente per salvare la sua città da quello che però sa essere un destino ineluttabile. Decide allora di rientrare sulla rocca per chiedere alle donne di palazzo reale di supplicare gli dei per il bene di Troia; così, si ferma anche, alle Porte Scee, a incontrare sua moglie Andromaca e ad abbracciare il loro figlioletto Astianatte. In uno dei passi più belli e commoventi del poema, i due sposi, prototipo di tante coppie giovani che hanno attraversato nei secoli difficoltà simili, si scambiano i loro sentimenti; Andromaca, cui Achille ha sterminato la famiglia (ella è una principessa, figlia del re Eezione di Tebe Ipoplacia), vede in Ettore il suo unico baluardo, la sua difesa, tutto quello che di saldo e bello le rimane al mondo; lui, conscio dei suoi doveri e della sua responsabilità, vorrebbe con estremo struggimento salvarla dal suo futuro destino di schiava, ma sa che il fato è  ineluttabile e il suo cuore trema al pensiero di quello che le toccherà. Unico momento lieto per i due sposi: Ettore prende in braccio il figlio Astianatte, che si spaventa alla vista del cimiero, e il suo viso si rasserena teneramente. La delicatezza e sensibilità con cui sono descritti i sentimenti di questi protagonisti, solo apparentemente lontanissimi, del mito rendono queste pagine immortali.


                                   Ferdinando Castelli, L'incontro tra  Ettore e Andromaca, XIX sec.

Io lo so bene questo dentro l’anima e il cuore:
giorno verrà che Ilio sacra perisca,
e Priamo, e la gente di Priamo-buona lancia:
ma non tanto dolore io ne avrò per i Teucri,
non per la stessa Ecuba, non per il sire Priamo,
e non per i fratelli, che molti e gagliardi
cadranno nella polvere per mano dei nemici,
 

quanto per te, che qualche Acheo dal chitone di bronzo
trascinerà via piangente, libero giorno togliendoti:
allora, vivendo in Argo, dovrai per altra tessere tela,
e portar acqua di Messeide o Iperea,
costretta a tutto: grave destino sarà su di te...
 






Quasi tremila anni dopo, nel pieno della Prima Guerra Mondiale, Ferrara. De Chirico dipinge questo quadro, che poi replicherà in più versioni, anche scultoree, negli anni avvenire. I due protagonisti, ritratti fra mura rosse come quelle ferraresi, ma che potrebbero richiamare le Porte Scee, su di uno sfondo blu cobalto, cupo, ritti su quello che sembra un palcoscenico pericolosamente sghembo (come spesso dico ai miei allievi: potrebbero scivolare giù da un momento all'altro), sono due manichini, un'accozzaglia di pezzi di legno di vari colori; non hanno capelli, non hanno volto, occhi, labbra; sono sorretti da una specie di impalcatura, come due burattini; non hanno braccia (per cui, come fanno ad abbracciarsi?); il torace sembra eccessivamente sviluppato, ma, in confronto, le gambe si assottigliano sempre più, fino a divenire due piedini minuscoli, da donna Cinese (ma come fanno a stare in piedi in quelle condizioni?). Eppure, anche se vari critici affermano che dai manichini di De Chirico non trapelano sentimenti, da questi Ettore e Andromaca pare trapelare una tenerezza struggente, tanto più struggente quanto più impossibilitata a esprimersi: è una tenerezza quasi disperata, per cui i due manichini paiono sul punto di abbracciarsi, ma non ce la fanno, perché non hanno braccia; lui pare appoggiare il capo contro il volto di lei, in un gesto di ricerca di tenerezza molto espressivo, mentre lei guarda verso l'alto, quasi ad attingere forza da un cielo chiuso.


                                            Pianto d'amore: Ettore e Andromaca (1947)
Questi due amanti sembrano soli in un mondo ostile, impossibilitati persino a comunicare il  loro amore tra loro...Vi ricordate la fiaba della Regna delle nevi? (Non la versione di Frozen: quella originale, senza Anna, Edna, la renna, Olaf e via dicendo!). Gerda ha perso il suo amico d'infanzia Kay, rapito dalla Regina delle Nevi e prigioniero nel palazzo di ghiaccio di lei. Quando, dopo tanta fatica, Gerda lo trova, lui è gelido, impassibile, quasi paralizzato: due frammenti dello specchio della Regina, andato in mille frantumi, si sono conficcati nel suo cuore e nei suoi occhi, chiudendolo a ogni comunicazione d'amore con l'esterno. Solo quando Gerda si mette a piangere, le lacrime di lei sciolgono i frantumi e l'incantesimo e lui la riconosce....  
 
A che cosa mi fa pensare un quadro così bello e geniale? A tante cose. Qualche giorno fa, leggevo in un post su di un romanzo, un commento di una tizia che diceva, in sostanza, che oggi le storie d'amore impossibili non esistono più, tanto tutti possono fare tutto quello che vogliono e non ci sono più le barriere sociali, morali o altro del passato. Solo l'intelligenza di uno stoccafisso (mi perdonino gli stoccafissi, per cui ho grande stima, specie quando mi finiscono nel piatto), solo l'intelligenza di uno stoccafisso, dicevo, può fare esternazioni del genere: l'amore è il fiore più delicato che esista, molto più delicato dei petali delle rose, e l'apparente omogeneizzazione sociale o la tanto decantata libertà sessuale non bastano a impedire che esso incontri difficoltà enormi, anzi. Questa è una visione ottusamente materialistica, frutto del sistema sociale in cui viviamo: mai come ora gli ostacoli all'amore sono interiori e sempre più imponenti, proprio perché è in terrificante declino la percezione dell'interiorità, della PERSONA. E, allora, mi viene in mente, guardando questo quadro (grande De Chirico!), che nel mondo di oggi, dove rischiamo sempre più di diventare "non-persone", senza anima, senza cuore, solo materia bruta come i pezzi di legno che formano questi due manichini, mai come ora l'amore è diventato difficile. Stiamo diventando come questi manichini: senza più braccia per abbracciarci, senza più fondamenti certi (i piedi, le gambe) per sorreggerci, ma, soprattutto, senza più carne viva che circondi il nostro cuore, senza occhi, senza volto per guardarci in viso e senza bocca per parlarci davvero. La società materialistica, in cui conta soltanto ciò che ha un prezzo, ci sta trasformando in manichini. Come si fa ad amare così?

Love (and sex) at the time of... mannequins

I would like to start from this beautiful painting by Giorgio De Chirico, Hector and Andromache, painted in 1915 here in Ferrara. I love it very much, as I love the passage by Homer (Iliad, vi, 390-502) that inspired it. I'll summarize the story, then go back to the work of art.


We are at the peak of the Greek siege to Troy. Prince Hector, son of King Priam and chief commander of the Trojan forces, fights desperately to save his town from an inescapable fate. He decides to go back to the town and ask the women from the royal palace to beg the gods for the sake of Troy; so, he also stops at the Scaean gates, to meet his wife Andromache, and embrace their son Astyanax. In one of the most beautiful and moving scenes of the poem, the couple, like so many young couples who have gone through similar difficulties over the centuries, express their feelings; Andromache, whose family Achilles killed (she is a princess, daughter of King Eetion of Cilician Thebe), and who sees Hector as her only defense, the defense of whatever beauty is left to her in life; Hector is conscious of his duties and responsibilities, and would wish to save her from her future fate as a slave, but he knows that fate is inescapable; so, his heart trembles at the thought of what will happen to her. Only happy moment for the couple: Ettore picks up his son Astyanax, who is frightened at the sight of the crest, and his face brightens tenderly. The delicacy and sensitivity by which the feelings of these characters are described, make these pages immortal.




I know well this in my soul and heart:
a day will come when sacred Ilium perishes
and Priam, and the good people of Priam:
but I will not feel so much pain for the Trojans,
not for the same Hecuba, not for sire Priam,
and not for my brothers, as many strong of them
fall in the dust at the hands of the enemies, 
as for you, that some Greeks with a bronze chiton
will carry away weeping, removing from you the day of freedom:
then, living in Argo, you will have to canvas fabrics for the others,
and carry the Messeide or Iperea water,
being forced to everything: a serious fate will be on you ...



Nearly three thousand years later, at the height of World War I, in Ferrara. De Chirico painted this picture, which he was to replicate in multiple versions, even statues, in the years ahead. The two protagonists are portrayed between red walls like those of Ferrara (but that could recall the Scaean gates), on a blue cobalt background, somber, standing on what looks like a stage dangerously askew (as I often say to my students: they might slide down at any moment). They are two dummies, a jumble of pieces of wood of various colors; they have no hair, nor face, eyes, lips; they are supported by a sort of scaffolding, like two puppets; they do not have arms (so, how do they embrace?); their thorax seems overly developed, but in comparison, the legs look thinner and thinner, until they become two tiny pins, like those of a Chinese woman (but how do they stand up in those conditions?). Yet, even if many critics claim that De Chirico's mannequins don't express any feeling, from these Hector and Andromache we perceive a melting tenderness, all the more poignant as they are unable to express themselves: it is an almost desperate tenderness; so they look like hugging, but do not make it, because they have no arms; he seems to rest his head against her face, in a very expressive gesture of tenderness, while she looks up, as to draw strength from a closed sky.

                                           


These two lovers seem alone in a hostile world, even unable to communicate their love to each other ... Do you remember the tale of the Snow Queen? (Not the Frozen version: the original one, without Anna, Edna, Olaf and so on!). Gerda has lost his childhood friend Kay, kidnapped by the Snow Queen and a prisoner in the ice palace with her. When, after so much effort, Gerda finds him, he is cold, impassive, almost paralyzed: two fragments of the Queen's mirror, reduced into a thousand pieces, are stuck in his heart and in his eyes, closing them to every love communication with the outside. Only when Gerda starts crying, her tears dissolve the fragments and the spell and he recognizes her....


What does such a beautiful and brilliant picture make me think of? Of a lot of things. A few days ago, I read a post on a novel, saying, in essence, that today an impossible romance no longer exists, as everyone can do whatever he wants and there are no social, moral or other barriers anymore like in the past. Only the intelligence of a stockfish (I apologize with stockfishes, which I have great esteem for, especially when they end up in my dish), only the intelligence of a stockfish, I said, can express utterances like this: love is the most delicate flower in the world, much more delicate than petals of roses; and the apparent social homogenization or the much-vaunted sexual freedom are not enough to prevent it from facing huge difficulties, indeed. This is a dully materialistic view, result of the social system where we live: never like now obstacles to love are internal and even more impressive, because the perception of the interior, of the PERSON, is in decline. And then it occurs to me, looking at this picture (great De Chirico!), that nowadays, we are more and more in danger of becoming "non-persons", soulless, heartless, only brute matter, like the pieces of wood that form these two dummies; now more than ever, love has become difficult. We are becoming like these mannequins: no more arms to embrace each other, no more certain foundations (feet, legs) to support us, but, above all, no more living flesh that surrounds our heart, no eyes, no face to look at others' faces and no mouth to really talk. Materialistic society, where only matters what has a price, is turning us into dummies. How could we love like this?

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