domenica 21 febbraio 2016

Viaggio dentro De Chirico. 6 parte


 Viaggio dentro De Chirico. 6 parte

Grecia

Il 1 gennaio 1919, De Chirico trasloca a Roma e questo suo spostamento prelude a una vivace riscoperta della pittura dei grandi classici: ma la realtà classica, il maestro, se la portava dietro fin dall'infanzia, quando aveva cominciato a studiare disegno in Grecia, prima autodidatticamente, poi ad Atene. A Roma, ma anche a Firenze, De Chirico visita spesso i maggiori musei, realizza copie (o meglio, riproduzioni che rivivono l'esperienza dei grandi) dei celebri pittori rinascimentali, approfondisce le tecniche della tempera e dell'olio; soprattutto, studia e pubblica saggi su grandi come Raffaello, ma anche Klinger, Böcklin (ricordate il suo soggiorno tedesco?), Renoir, Gauguin (qui si nota l'influsso parigino) e altri contemporanei. Il periodo romano segna pertanto un approfondimento, culturale e tecnico, della sua prospettiva artistica: i frutti si vedranno fin dal 1925, quando il pittore torna a Parigi e inizia la cosiddetta "Metafisica della luce" con quadri in cui ritornano vari soggetti classici (Archeologi, Cavalli, Trofei, Gladiatori, Paesaggi nella stanza) e rappresentazioni dai colori sempre più accesi, luminosi. Sembra quasi che la luce del Mediterraneo irrompa nelle sue opere, in forma più netta che sullo sfondo dei cieli verdastri delle sue tele del decennio precedente. E, in effetti, sempre di più, a partire dagli anni '30, De Chirico (che, nel frattempo, ha sposato la ballerina russa Raissa Gourevitch Krol, conosciuta a Roma nel 1924, ma che poi convolerà a nozze una seconda volta, con Isabella Far, rimasta accanto a lui fino alla fine dei suoi giorni) dipinge ritratti, nudi e quadri in cui la componente naturalistica, la luce, il colore, appaiono sempre più squillanti.

                                   
Questo suo appassionarsi per il classico pare in linea con il "ritorno all'ordine" di tanti artisti delle avanguardie del I Dopoguerra: gli anni '30 videro, in pittura come in letteratura, un ritirarsi dalle posizioni più estreme, a favore di un nuovo classicismo e di una maggiore sobrietà, mentre la politica si orientava sempre di più a destra (quando andava bene, verso il conservatorismo). Ciò portò a un'inesorabile rottura con i Surrealisti, che si sentirono traditi da De Chirico, rottura consumatasi già nel 1925 e poi approfonditasi negli anni. In seguito, il pittore divenne sempre più critico contro le tendenze estremistiche dell'arte moderna, tanto da definirsi una sorta di "antimoderno".
Nella seconda parte della sua vita, egli espone e lavora un po' ovunque: a Parigi, in Italia, in Germania, a Londra, negli USA, a New York (dove nel 1937, dipinge persino un affresco nel salone di bellezza di Helena Rubinstein e decora, assieme a Picasso e Matisse, una sala da pranzo alla Decorators Picture Gallery). Dal 1938, per disgusto verso le Leggi Razziali, torna a Parigi; durante la guerra, è ospite con Isabella (un'Ebrea russo-polacca) dell'amico antiquario Luigi Bellini a Firenze. Ma il rapporto col classico prosegue per tutta la sua vita: molti dei suoi soggetti preferiti (come Ettore e Andromaca) diventano poi delle sculture, prima in terracotta, poi in bronzo; dopo la liberazione di Roma, vi ritorna definitivamente e intensifica il suo studio (anche a livello di produzione di saggi) dei classici: Rubens, Tiziano, Watteau, Courbet, Delacroix.
Nel 1950, in polemica con la Biennale di Venezia, organizza alla Società Canottieri Bucintoro una sua  personale "Antibiennale", assieme ad artisti da lui definiti "anti-moderni"; l'esperimento si ripeterà negli anni successivi, mentre, negli anni '60, l'artista illustra due grandi classici come I promessi sposi e la traduzione di Salvatore Quasimodo dell'Iliade. Infine, nel 1973 torna in Grecia, ove viene registrato il documentario RAI Il mistero dell'infinito.


Come abbiamo visto, la pittura metafisica registra quei momenti di estraniamento in cui si finisce per scorgere al di là delle cose il non senso della vita (quello di Schopenauer): ecco perché nelle tele oggetti molto vari sono avvicinati in maniera incongrua, le piazze sono deserte, la luce è irreale, il tempo appare sospeso, il che fa scaturire nella mente dell'osservatore la percezione dell'"oltre". Ma questo avanzare fuori dal tempo implica anche la ricerca dell'eterno: appunto, di ciò che è classico.
Il naturalismo della seconda parte dell'opera di De Chirico intende essere anche un rifiuto delle mode; la grande arte, per De Chirico, non è mai "antiquata". Ecco allora, verso la fine della sua vita, vedute tradizionalissime, come l'Isola di San Giorgio, degli anni '60, che pare quasi impressionista; oppure, l'abitudine di retrodatare alcuni dipinti: tanto, tutto torna - come sosteneva Nietzsche. Anzi, il pittore dipinge spesso gli stessi soggetti, che tornano e tornano nella sua opera da un anno all'altro: questo perché lui si pone al di fuori del tempo, in una prospettiva "metafisica" appunto. Ma i grandi classici non hanno età...Del resto, proprio la mancanza di un orizzonte cronologico o storico rende i quadri di De Chirico così inquietanti: sembra una pittura eterna, ma l'uomo ha le vertigini davanti all'eternità...

La Grecia rimane nel cuore dell'artista e si rivela nella sua opera in varie maniere. Innanzitutto, come ho accennato, rivive nella luce tersa dei suo quadri: sciabolate di luce che, in modo surreale, attraversano un'atmosfera tempestosa (come nei primi anni), oppure un chiarore più dolce e diffuso, come nelle opere più tardive; in ogni caso, sembra rivivere qui il solare meriggio mediterraneo. Però, bisogna diffidare delle apparenze: i Greci ben sapevano che l'ora più pericolosa per gli esseri umani è l'"ora panica", il primo pomeriggio, quando il sole picchia duro e si rischia un'insolazione; secondo gli antichi, era l'ora in cui gironzolava Pan, una creatura divina, ma irrazionale, e incontrarlo significava lasciarsi prendere dal "timor panico", quindi impazzire...E' l'ora più inquietante, perché non ci sono ombre; non stupisce che la luce, nei quadri di De Chirico, appaia quasi sinistra.


Un'altra maniera di rievocare la Grecia per De Chirico è quella di dipingere soggetti ispirati alla mitologia classica. Abbiamo già visto, e in più versioni, Ettore e Andromaca: più classica e affascinante è la riedizione del motivo in Pianto d'amore, del 1974, in cui pare che si dissolva lentamente il lato del manichino e i due protagonisti ritornino esseri umani in carne e ossa. Ma essi sono sempre bloccati da un'impalcatura, su di un piedistallo, come marionette i cui fili siano tirati da un destino crudele e invisibile o come attori della tragedia greca; i colori sono squillanti, ma i volti non si vedono; il sentimento, di solito assente in De Chirico, a mio avviso c'è, ma è trattenuto e rinvia a una forma di dolore eterno.





Un'ultima maniera di rievocare la classicità è attraverso la forma, pura e nitida, ma surreale. E allora, vorrei tornare indietro alla prima scaturigine della pittura metafisica di De Chirico: le Piazze d'Italia, iniziate a Parigi nel 1912 e già pienamente classiche, anche se tremendamente innovative. Di cosa si tratta? Si tratta di panoramiche di piazze italiane, in cui gli edifici appaiono geometrici, squadrati, solcati dal buio di arcate profonde, riedizioni di prospettive italiane rinascimentali, soprattutto della famosa Città ideale; ma proprio le prospettive sono distorte (vi ricordate che sembra che gli oggetti debbano scivolare giù?), le piazze deserte, i colori vivaci, ma irreali, la luce è violenta, alternata a ombre paurose (di chi sono? Forse del maniaco che, secondo le nostre nonne, girava indisturbato nel primo pomeriggio?). Insomma: l'effetto finale è quasi sinistro. Insomma, è come se De Chirico stravolgesse il bello classico dall'interno e lo rendesse enigmatico, mostrandolo da un punto di vista inatteso, sospeso al di fuori del tempo e puntando così a significati nuovi e "metafisici".
Il primo quadro appartenente alla serie è Melancolia, del 1912. Il monumento al centro della piazza (e che compare in altri quadri) è Arianna, ritratta sul modello di una statua ellenistica dei Musei Vaticani. E' simbolo di tristezza e abbandono (Arianna fu abbandonata da Teseo), ma anche di ebbrezza e irrazionalità: dopo Teseo, fu sposa di Dioniso. Molto simile è Malinconia di una bella giornata, del 1913. Si noti che, come diceva De Chirico, la statua è inquietante perché ha forma umana, ma è immobile.



Altri quadri del genere sono Nostalgia dell'infinito, del 1913, in cui una torre altissima, con due omini sperduti davanti, sembra quasi alludere all'impossibilità per l'essere umano di raggiungere l'oltre celeste (che sia una specie di torre di Babele?); Torre rossa, del 1913 (si noti quanto è ricorrente e importante il simbolo della torre in De Chirico, una torre che attrae anche per il suo volume puro, cilindrico), oppure, Piazza d'Italia, del 1954, dove ricompare Arianna e l'edificio centrale sembra davvero la rotonda che si trova nello Sposalizio della Vergine di Perugino, o in quello di Raffaello, o quella della Città ideale (però, come ha notato qualcuno, ci mancano le finestre...). Del resto, pare ricordarci il pittore, le civiltà antiche e mediterranee vivevano in piazza, quindi... Ma la piazza, nell'alienazione del mondo moderno, è divenuta uno spazio vuoto, privo di vita.

  

Questi soggetti sono stati replicati miriadi di volte, fino alla morte del pittore. Da questo punto di vista, la classicità appare anche come una via per riscoprire tutta la grande arte occidentale (specie il Rinascimento), la sua perfezione volumetrica, coloristica e tecnica, ma anche i suoi simboli, i suo significati più reconditi, il suo mistero; e su questi soggetti De Chirico è tornato decine e decine di volte con variazioni che non hanno mai intaccato il nocciolo della questione. Un po' come nelle Grazie di Foscolo, la grecità è il punto di partenza della cultura occidentale e della poesia; del resto, De Chirico ha veramente assorbito le linfe del suolo greco fin dalla nascita; e all'eternità dell'arte ha consacrato la vita.
 

Biografia di G.De Chirico
http://www.fondazionedechirico.org/biografia/?lang=it/
http://www.roberto-crosio.net/1_citta/DE_CHIRICO_SPAZI.htm

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