giovedì 11 febbraio 2016

Viaggio dentro De Chirico 5 parte


Viaggio dentro De Chirico. 5 parte

Parigi

 

 
Ah! Parigi! De Chirico ci era già stato prima della guerra e, anche da Ferrara, come abbiamo visto, continuava a intrattenere rapporti con le élites intellettuali della città, in uno dei periodi culturalmente più effervescenti della sua storia. Stranamente, De Chirico ci arriva proprio il 14 luglio, anniversario della presa della Bastiglia, nel 1911; già nel 1912 partecipa a un'esposizione al Salon d'Automne (non riesco a immaginarmi De Chirico a una mostra organizzata, che so? in un palazzo dedicato all'estate o alla primavera). Altre mostre verranno e se la pittura metafisica sboccia a Ferrara, è vero però, come abbiamo visto, che essa è già nata a Firenze, ha mosso alcuni dei suoi primi passi a Torino e ora si irrobustisce a Parigi.
 
La città, in questi anni, è meta del meglio dell'intellighenzia europea: Picasso, Braque, Modigliani, Chagall dipingono qui le loro tele; Matisse riempie ancora i suoi quadri di colori e di luce (la luce della Provenza e dei suoi giardini), mentre Mondrian preferisce un colore iscritto in forme astratte; i futuristi, proprio nel 1919, danno alle stampe il loro Manifesto, nella persona di Filippo Tommaso Marinetti (non è casuale se l'unica avanguardia italiana nasce a Parigi); ma anche altre avanguardie si affacciano allo scenario della capitale, con i Dadaisti di Duchamp e Tzara e i Surrealisti di Mirò, Dalì e Magritte, tanto affezionati al motivo dell'inconscio freudiano e alle sue libere associazioni; per le vie del Quartiere Latino passa regolarmente uno studente italiano di nome Giuseppe Ungaretti e all'Università insegna un filosofo del calibro di Henry Bergson; al 44 di rue Hamelin, da ottobre, dopo un secondo, pesante trasloco, vive e corregge indefessamente la sua Recherche Marcel Proust; in città impazza il jazz degli "anni folli", con le sue feste continue (anche troppe: è la "festa mobile" descritta da E.Hemingway, ebbra di divertimenti, irriverente, provocatoria, ma che cela l'angoscia del Dopoguerra; e non è un caso se il nudo è uno dei soggetti preferiti dell'epoca), mentre piovono in città Americani come Fitzgerald, sua moglie Zelda e, appunto, Hemingway; Diaghilev idea le sue innovative coreografie per i Balletti Russi (ma c'erano anche i Balletti Svedesi di Rolf de Maré); riecheggia la musica malinconica di Eric Satié, mentre in giro si possono notare pure Jean Cocteau, Man Ray e Luis Bunuel.
 
Stranamente, però, Parigi non è solo la capitale delle avanguardie più arroganti, ma anche il cuore di un ritorno al classicismo, che emergerà ancora meglio negli anni '30 e che si fa avvertire fin d'ora: uno dei suoi primi e più importanti recettori è proprio De Chirico. 
 
Il pittore conosce qui Picasso e, soprattutto, il poeta Guillaume Apollinaire, che sembra onnipresente quando si tratta d'Italiani a Parigi (era amico anche di Ungaretti, con cui condivideva la stanza in Rue des Carmes); Apollinaire è talmente entusiasta della pittura metafisica che recensisce la mostra personale di De Chirico del 1913, definendolo (non a torto) "il pittore più sorprendente della giovane generazione", e inizia a collaborare stabilmente con lui. Anzi, De Chirico presenta al nuovo amico anche suo fratello Alberto Savinio, giunto dall'Italia nel 1914, e i due frequentano insieme Les Soirées de Paris. Ad Apollinaire il pittore dedica il celebre ritratto qui sotto e il poeta risponde dedicandogli il poema Océan de Terre (un ovvio ossimoro).
 

                                                   Ritratto di Guillaume Apollinaire (1914)

Il quadro era molto amato dal poeta, cui esso fu regalato da Paul Guillaume, il gallerista di De Chirico. Ora, tra i surrealisti esso divenne celebre come una specie di artefatto medianico, di premonizione su tela: infatti, l'ombra nera sullo sfondo verde (il solito cielo impossibile dechirichiano) è quella di Apollinaire, che, come se fosse un bersaglio, ha una tempia segnata da un cerchietto chiaro. Ebbene: nel 1916, appena due anni dopo la stesura del dipinto, Apollinaire fu ferito in guerra da una scheggia proprio a quella tempia (i Napoletani si chiederebbero: De Chirico portava jella?). I Surrealisti erano fanatici dell'inconscio e delle scintille che ne potevano scaturire, ma su Parigi aleggiava ancora aria di Simbolismo: e l'idea che l'artista possa adire a sfere ignote del reale, sovrarazionali, è del tutto simbolista.

In primo piano abbiamo un singolare busto in marmo con gli occhiali neri di un cieco, un busto che fa pensare a Omero (a me ricorda anche Marlon Brando, ma era troppo presto): il busto è un simbolo del poeta, cieco, come l'antico vate, ma che può raggiungere egli solo la luce interiore dell'arte. In un dipinto così enigmatico non può mancare un vero e proprio rebus, ed ecco che accanto al busto si trova una stele obliqua scolpita con due bassorilievi di chiara simbologia cristiana: il pesce (il cui vocabolo greco era anagramma del Cristo) e la conchiglia (che rinvia al pellegrinaggio di Santiago de Compostela). De Chirico era sensibile al soprannaturale, quindi pesce e conchiglia, illuminati e orientati verso l'alto, possono benissimo significare la dimensione divina cui l'artista aspira.

Apollinaire morì a Parigi nel 1918, il 9 novembre, proprio mentre Paul Guillaume organizzava una mostra di De Chirico, allora in Italia, sul proscenio del Teatro del Vieux-Colombier, mostra introdotta da un testo del fratello Savinio. Dal 1919 De Chirico viveva a Roma, ma continuava ad andare e venire da Parigi e ad avere contatti con intellettuali del luogo: scriveva ad André Breton, che redasse la presentazione di un'altra mostra nel 1922; nel 1924, al Teatro degli Champs Elysés, l'artista disegnò le scenografie e i costumi del balletto La Giara, tratto dalla novella omonima di Pirandello e messo in scena dai Balletti Svedesi di Rolf de Maré (i Balletti Svedesi furono attivi dal 1920 al 1925, a opera di questo impresario originale e, tutto sommato, benché innamorato della danza, abbastanza poco pratico in materia, ma che ha il merito di avere costituito il primo nucleo del Museo della Danza di Parigi e di Stoccolma). In questi anni, il nostro è molto vicino ai Surrealisti, tanto che compare nella celebre foto di gruppo scattata da Man Ray nel 1924; eppure, egli entra in frizione con loro qualche anno dopo.

Con tutti questi contatti, non è un caso se De Chirico si stabilisce nuovamente a Parigi nel 1925: le sue collaborazioni con artisti si moltiplicano. Nel 1928, illustra con litografie la monografia di Jean Cocteau, Le Mystère Laïc – Essai d’étude indirecte; nel 1929 pubblica il proprio romanzo autobiografico Hebdomeros, le peintre et son génie chez l’écrivain, che quasi rappresenta la pittura a parole, e disegna scene e costumi per il balletto Le Bal di Diaghilev e dei suoi Balletti Russi; negli anni '30, illustra con litografie i Calligrammes del compianto Apollinaire.
E' a Parigi che compaiono per la prima volta i famosi manichini, come nel dipinto Il duo, del 1914.


 
Questi manichini sono un tantino più umanizzati (siamo agl'inizi...): la loro struttura di appoggio è meno ingombrante, le gambe sembrano quasi normali, paiono muoversi e persino il cielo è meno cupo; eppure mancano delle braccia, il pavimento, quasi un tavolato da palcoscenico, è sempre ripidissimo (ma come fanno a non scivolare giù?), l'ombra sulla destra e la torre rossa sulla sinistra inquadrano uno scenario enigmatico (avete notato che in fondo s'indovina il mare? C'è sempre il mare nascosto dietro gli sfondi di De Chirico; e, se il mare non si vede, si nota una nave che passa, oppure una torre che sembra quasi messa lì per l'avvistamento). Più che altrove sembra di trovarsi davanti a una scena teatrale, con tanto di proscenio e un duo, quasi di marionette, che, da alcuni interventi del pittore stesso, sappiamo che lui intendeva come un duo di attori.
Eppure, Parigi costituì per De Chirico un ritorno al classico, l'anima della sua giovinezza. A Roma, negli anni '20 e anche in seguito, De Chirico riscoprì i grandi artisti del passato, dedicando loro saggi e studi in quantità; si rifaceva però viva in lui anche la brezza mediterranea della sua nativa Grecia. Ecco perché la nostra prossima tappa deve per forza essere la Grecia: ma una Grecia che, come nelle Grazie di Foscolo, rappresenta la culla della civiltà e può quindi collegarsi poi con i grandi della storia artistica successiva. Partiamo quindi in "crociera" per la Grecia.

Bibliografia
Cfr.M.L.Pacelli, L'arte a Parigi negli "Anni folli", http://www.palazzodiamanti.it/932/l-arte-a-parigi-negli-anni-folli.

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