mercoledì 10 febbraio 2016

"L'indifferenza: da Gramsci ai giorni nostri" di Mario Ballardini


L'indifferenza: da Gramsci ai giorni nostri

L'11 febbraio del 1917, esattamente 99 anni fa, Antonio Gramsci pubblica il numero unico di un giornale intitolato "La città futura". L'editoriale si apre con una sorta di manifesto programmatico contro gli indifferenti, noto con il titolo di "Odio gli indifferenti". Ve lo riporto:

Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.
L’indifferenza è il peso morto della storia. L’indifferenza opera potentemente nella storia. Opera passivamente, ma opera. È la fatalità; è ciò su cui non si può contare; è ciò che sconvolge i programmi, che rovescia i piani meglio costruiti; è la materia bruta che strozza l’intelligenza. Ciò che succede, il male che si abbatte su tutti, avviene perché la massa degli uomini abdica alla sua volontà, lascia promulgare le leggi che solo la rivolta potrà abrogare, lascia salire al potere uomini che poi solo un ammutinamento potrà rovesciare. Tra l’assenteismo e l’indifferenza poche mani, non sorvegliate da alcun controllo, tessono la tela della vita collettiva, e la massa ignora, perché non se ne preoccupa; e allora sembra sia la fatalità a travolgere tutto e tutti, sembra che la storia non sia altro che un enorme fenomeno naturale, un’eruzione, un terremoto del quale rimangono vittime tutti, chi ha voluto e chi non ha voluto, chi sapeva e chi non sapeva, chi era stato attivo e chi indifferente. Alcuni piagnucolano pietosamente, altri bestemmiano oscenamente, ma nessuno o pochi si domandano: se avessi fatto anch’io il mio dovere, se avessi cercato di far valere la mia volontà, sarebbe successo ciò che è successo?
Odio gli indifferenti anche per questo: perché mi dà fastidio il loro piagnisteo da eterni innocenti. Chiedo conto a ognuno di loro del come ha svolto il compito che la vita gli ha posto e gli pone quotidianamente, di ciò che ha fatto e specialmente di ciò che non ha fatto. E sento di poter essere inesorabile, di non dover sprecare la mia pietà, di non dover spartire con loro le mie lacrime.

Sono partigiano, vivo, sento nelle coscienze della mia parte già pulsare l’attività della città futura che la mia parte sta costruendo. E in essa la catena sociale non pesa su pochi, in essa ogni cosa che succede non è dovuta al caso, alla fatalità, ma è intelligente opera dei cittadini. Non c’è in essa nessuno che stia alla finestra a guardare mentre i pochi si sacrificano, si svenano. Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti”.

La lunghezza di questa "invettiva" è inversamente proporzionale alla densità e all'importanza dei concetti di cui tratta.
                                             

Già nel titolo l'intellettuale sardo oppone la passione triste dell'indifferenza all'odio, inteso come "rabbia appassionata", sentimento caldo e vivido, mettendo i due termini l'uno in antitesi all'altro.

L'indifferenza è individuata come il peggior nemico per chi ambisca a cambiare il corso degli avvenimenti e a migliorare l'esistente: infatti l'atteggiamento tipico dell'indifferente è l'accettazione, praticamente di qualsiasi cosa, giustificata con delle pigre scuse quali ad esempio la delega a terzi di problemi sociali (ma anche spesso individuali) o l'attribuzione degli eventi al destino; da ciò consegue tra l'altro la terribile credenza che l'agire sia inutile poiché tutto è "già scritto".

Non mi dilungo sull'analisi di quest'illuminante testo: altri l'hanno già fatto prima e meglio di me. Quello che mi interessa sottolineare è il rapporto che una tale visione può avere con il presente.

Il fatto che "Odio gli indifferenti" fu scritto circa un secolo fa e che tutt'ora risulti così attuale (più attuale di quando venne scritto, oserei dire) è un segnale che la "sensibilizzazione popolare" nella quale confidava Gramsci non è avvenuta, probabilmente si è andati nella direzione opposta.

Si è passati da Oscar Wilde, il quale affermava che "il problema del socialismo è che impegna troppe serate", al problema diametralmente opposto: la maggioranza dei cittadini si esclude dalla respublica. La conseguenza di questa indifferenza di massa l'abbiamo tutti sotto agli occhi: una nicchia di persone gestisce indisturbatao ciò che dovrebbe essere pubblico, a discapito dei cittadini; forse era meglio dedicare qualche serata in più alla società….

Quello sotto il quale viviamo è il terzo governo consecutivo non votato dai "liberi" cittadini italiani: dal novembre 2011 i nostri presidenti sono sempre stati degli "abusivi". All'epoca di Gramsci tutto questo si sarebbe chiamato "colpo di Stato" o almeno avrebbe destato scalpore in ogni fascia della popolazione; al giorno d'oggi ci risulta normale o addirittura necessario. Normale per noi cittadini indifferenti e necessario per quella manica di intellettuali organici al sistema malato, coloro che dovrebbero "illuminarci tramite il lume della ragione" e impedire questo scempio politico e che invece si mobilitano per fare l'opposto.

Ed è per questo che reputo le parole di Gramsci più attuali adesso rispetto a quando sono state effettivamente scritte: l'indifferenza è arrivata ad un livello ormai non più sostenibile, tutto è lecito.
Una celebre frase di Henry Ford (colui che ha dato il nome al processo chiamato “fordismo”) afferma: “Meno male che la popolazione non capisce il nostro sistema bancario e monetario, perché se lo capisse, credo che prima di domani scoppierebbe una rivoluzione”. Il dramma che si cela dietro a questa frase è proprio il fatto che il potere, politico ed economico, è perfettamente conscio della pigrizia e dell’indifferenza delle masse e sa come spacciare sistemi iniqui per sistemi leciti. Nel caso della finanza è bastato inventare un nuovo lessico estraneo ai più per escludere la massa, troppo pigra per informarsi, da quel campo. Per approfondire questo discorso consiglio un film da poco uscito nelle sale e candidato agli oscar 2016 come miglior film: “La grande scommessa”. Forse non è immediato per chi di finanza sa poco (come me ad esempio), ma, se analizzato con un'eventuale seconda visione e qualche ricerca su Internet, può diventare illuminante.

Da giovane, quale sono, ciò che mi reca più dolore però è il constatare che molti giovani scivolano in una condizione d'indifferenza.

In tutta la storia, nel bene e nel male, la gioventù è stata il motore, o almeno il carburante, dei grandi e piccoli rovesciamenti: da almeno 40 anni non è più così. Le ultime rivoluzioni che il Bel Paese ha attraversato sono state "passive" (l'americanismo, il fordismo, il globalitarismo eccetera eccetera) quindi graduali e abilmente gestite da élites di potenti; in questo contesto, quello che una volta avremmo chiamato proletariato e la gioventù non hanno svolto ruolo alcuno. Ciò è stato anche reso possibile da un fenomeno che ha del paradossale, quale il conservatorismo giovanile: due termini che, accostati l'uno all'altro, fanno rabbrividire, ma che nella realtà odierna vanno di pari passo. Infatti i giovani, nella maggior parte dei casi, sono disgustati dalla società in cui vivono, ma non hanno l'ambizione di cambiarla.

Ormai mi sto avvicinando sempre più alla maggiore età e quindi al diritto di voto e di partecipazione alla vita politica. Buona parte dei miei amici e conoscenti questo diritto l'ha già acquisito da tempo, quindi solitamente tento di confrontarmi con loro chiedendo quali siano le loro posizioni politiche ed eventuali motivazioni. Il panorama che mi si offre è agghiacciante. Spesso si dividono tra un estremismo ottuso e arido, non supportato da argomentazioni, e la totale indifferenza. La seconda di queste due posizioni è quella che tollero meno, come le motivazioni con la quale viene giustificata. La frase più celebre ed emblematica che mi sono sentito dire è "io voto scheda bianca, perché la scheda bianca può cambiare le cose". Non riesco a spiegarmi il motivo di questa assurda credenza diffusa nella mia generazione. Non c'è nulla di puro o nobile nel votare scheda bianca, anzi, è una vittoria per il sistema che cerchiamo di boicottare, al quale fa comodo la nostra indifferenza. Se tutti coloro che votano scheda bianca (o addirittura non votano) si organizzassero per mettere in piedi un movimento veramente dissidente e alternativo, probabilmente la storia cambierebbe: ma è più un semplice crogiolarsi nella passività e nei piagnistei (tanto disprezzati da Gramsci) piuttosto che trovare una maniera di mobilitarsi.

La causa di tale disinteresse per tutto ciò che va oltre all'individuo, a mio parere, va individuata nello smantellamento del pensiero critico, scomodo soprattutto per chi sta al potere o per chi deve vendere prodotti (o anche opinioni, che sempre più si riducono a merce preconfezionata) su scala globale; infatti il senso critico, poiché diversifica ogni individuo e ostacola il fenomeno di massificazione, indispensabile per una società basata sul consumo, viene furbescamente minato dagli stessi potenti.

I mezzi utilizzati per compiere questo smantellamento, sono, a mio avviso, sostanzialmente tre (due dei quali, lo ammetto, li ho trovati in Pasolini):

- una forma passiva e pigra d'istruzione, talora veicolata dalla scuola, la cui colpa è quella di fornire nozioni passive, destinate perciò a morire se non ampliate e applicate a contesti dinamici. Nei peggiori casi queste nozioni (se non integrate si intende) rendono l'individuo presuntuoso o, alla peggio, frustrato, poiché ciò che ha imparato lo rende cosciente della propria ignoranza. Tale consapevolezza e frustrazione spingono lo studente (quindi il cittadino) a disinteressarsi completamente di tutto ciò che può riguardare la sfera culturale, quindi anche la politica e la società. Indispensabile sarebbe concedere alcune ore settimanali (se necessario anche pomeridiane, ma comunque obbligatorie) al dibattito tra studenti su questioni di attualità, oltre che sociali e antropologiche

- I mass media, e in particolare la televisione, armi più potenti di qualsiasi bomba e in mano al potere, capaci come nient'altro di omologare l'opinione pubblica. Mi riferisco specialmente ai modelli sbagliati che vengono messi sempre più in scena dalla televisione come i talk show pollaio, i quali contribuiscono a mostrare la politica come una buffonata. Inoltre, in televisione non c'è più spazio per i ragionamenti: uno studio ha affermato che "il telespettatore medio" tende a cambiare canale dopo circa quattro minuti di attenzione rivolta ad un argomento che non lo interessa direttamente. Quattro minuti sono pochi per qualsiasi ragionamento e dibattito, quindi per tenere alta l'audience bisogna abbuffarsi di slogan e frasi fatte e la televisione stessa struttura i suoi programmi secondo tempi rapidissimi, compiacendo il gusto più esteriore e grossolano del pubblico. Davanti a tale superficialità, è normale che il cittadino non riesca a costruirsi un pensiero originale. Al massimo può abbracciare quelle opinioni preconfezionate cui accennavo prima.

-La retorica della società dei consumi, la prima riuscita a convincere la massa, tramite l'industria culturale e la manipolazione organizzata, del fatto di essere l'unica società possibile. Potremmo sintetizzare il tutto con il dogma fondamentale "non avrai altra società all'infuori di me". Ad esempio, il mondo occidentale consumistico si ritiene presuntuosamente superiore quanto a trattamento della donna rispetto ad altre società tecnologicamente più arretrate, salvo poi mercificarne il corpo. Qualcuno si è accorto che esiste una pletora di presidentesse nei paesi del Terzo Mondo, mentre da noi c'è solo la Merkel? Qualcuno si è accorto che la maggioranza delle donne occidentali è schiava di canoni estetici demenziali e noi siamo qua a sputare giudizi sull’utilizzo del velo da parte delle donne musulmane?

È poi la stessa società a definirsi imperfetta, ma allo stesso tempo non migliorabile e ad aver convinto la moltitudine di questa immensa fandonia. Quante volte ad un interrogativo scomodo ci siamo sentiti porre la fulminante risposta “so che è ingiusto, ma il mondo funziona così”?

A questo punto, dopo aver eliminato la possibilità di adottare un nuovo tipo di società o di migliorare quella esistente, il gioco è più che fatto. Quasi nessun individuo, tanto più se non supportato dal consenso, ha il coraggio di tentare un'impresa già definita impossibile dalla retorica della società dei consumi, quindi il ristagno sociale - e il conseguente smantellamento del pensiero critico- è assicurato.

Spero che le mie parole non siano un sasso gettato nell’oceano, ma che possano, anche in minima parte, contribuire ad un processo di sensibilizzazione necessario per non soccombere, culturalmente prima e fisicamente poi. Preciso inoltre che non mi reputo esterno o immune all’indifferenza, tutt’altro: molti degli argomenti di cui ho trattato provengono da una presa di coscienza e da un’analisi delle posizioni con cui mi sono schierato in passato, ma che adesso rifiuto, o almeno provo a rifiutare.

Concludo con l’aforisma gramsciano che reputo più significativo: L'indifferenza è il peso morto della storia. È la palla di piombo per il novatore, è la materia inerte in cui affogano spesso gli entusiasmi più splendenti, è la palude che recinge la vecchia città e la difende meglio delle mura più salde, meglio dei petti dei suoi guerrieri, perché inghiottisce nei suoi gorghi limosi gli assalitori, e li decima e li scora e qualche volta li fa desistere dall'impresa eroica.”

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