mercoledì 10 febbraio 2016

La confessione di Dante, perdono e misericordia


La confessione di Dante, perdono e misericordia


Là ne venimmo; e lo scaglion primaio
bianco marmo era sì pulito e terso,
ch’io mi specchiai in esso qual io paio
.                        96


Era il secondo tinto più che perso,
d’una petrina ruvida e arsiccia,
crepata per lo lungo e per traverso
.                              99


Lo terzo, che di sopra s’ammassiccia,
porfido mi parea, sì fiammeggiante,
come sangue che fuor di vena spiccia
.                         102


Sovra questo tenea ambo le piante
l’angel di Dio, sedendo in su la soglia,
che mi sembiava pietra di diamante
.                            105


Per li tre gradi sù di buona voglia
mi trasse il duca mio, dicendo: «Chiedi
umilemente che ‘l serrame scioglia».
                          108


Divoto mi gittai a’ santi piedi;
misericordia chiesi e ch’el m’aprisse,
ma tre volte nel petto pria mi diedi.
                              111


Sette P ne la fronte mi descrisse
col punton de la spada, e «Fa che lavi,
quando se’ dentro, queste piaghe», disse.
                114


Cenere, o terra che secca si cavi,
d’un color fora col suo vestimento;
e di sotto da quel trasse due chiavi
.                             117


L’una era d’oro e l’altra era d’argento;
pria con la bianca e poscia con la gialla
fece a la porta sì, ch’i’ fu’ contento
.                            120


«Quandunque l’una d’este chiavi falla,
che non si volga dritta per la toppa»,
diss’elli a noi, «non s’apre questa calla.
                     123


Più cara è l’una; ma l’altra vuol troppa
d’arte e d’ingegno avanti che diserri,
perch’ella è quella che ‘l nodo digroppa.
                    126


Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata,
pur che la gente a’ piedi mi s’atterri
».                         129


Poi pinse l’uscio a la porta sacrata,
dicendo: «Intrate; ma facciovi accorti
che di fuor torna chi ‘n dietro si guata
».                      




                                                   La consegna delle chiavi a S.Pietro, del Perugino

Quando Dante e il suo fedele Virgilio giungono (finalmente) davanti alla porta del Purgatorio, nel canto IX, il pellegrino viene sottoposto a un vero e proprio rituale penitenziale che ci ricorda un po' quelli odierni, specie durante il Giubileo. La struttura della porta viene attentamente descritta: davanti ci sono tre gradini, uno di marmo bianco e talmente lucido da fungere da specchio, l'altro di pietra nera e scabra, attraversata da fessure, il terzo di porfido rosso come sangue. La soglia della porta, su cui è seduto  l'angelo guardiano, è di diamante.

La porta è costruita secondo un'attenta allegoria: il gradino bianco rappresenterebbe la contritio cordis, cioè la contrizione del cuore raggiunta nella confessione mediante l'esame di coscienza, che ripulisce e rende tersi (nei termini di un Anonimo fiorentino: il peccatore recasi a mente tutti i suoi peccati e di quelli pentesi interamente...e in quel punto rimane bianco come il marmo, senza veruna macchia o oscurità dei peccati); il secondo gradino rappresenta invece il dolore per i peccati commessi, oppure il momento vero e proprio della confessione, la confessio oris, quando il peccatore mette a nudo il fango oscuro delle proprie colpe (sempre l'Anonimo: L'essere la pietra crepata per di lungo e per traverso ci dimostra che dentro come di fuori si debbe vergognare e quel medesimo che sente nel cuore dire colle parole, e rompere questa pietra della durezza e ostinazione de'suoi peccati); l'ultimo gradino rappresenta l'amore raggiunto dopo la confessione, solido, come il proposito di non peccare più, la satisfactio operis, cioè le opere di penitenza e riparazione richieste e che permettono di fare il bene per sanare il male. La soglia di diamante, infine, simboleggia la fermezza morale raggiunta.

Dante viene guidato da Virgilio per i tre gradini, si inginocchia davanti all'angelo, che compie qui la funzione del sacerdote, quindi fa un atto di umiltà, si batte il petto per tre volte, e chiede MISERICORDIA (ricordiamo questa parola chiave); poi l'angelo gli traccia 7 P (simbolo dei peccati capitali da scontare) sulla fronte e trae da sotto la tunica bigia come la cenere (di cenere si cospargevano i penitenti nell'Antico Testamento) le due chiavi di S.Pietro, l'una aurea (simbolo dell'autorità divina della Chiesa di rimettere i peccati), l'altra argentea (simbolo della dottrina e sapienza umana), entrambe necessarie al confessore per districare la matassa del peccato. Come spiega l'angelo, l'azione divina deve accompagnare quella umana, sennò non si riesce a raggiungere l'assoluzione (vero: confessori privi dell'una o dell'altra fanno cilecca); S.Pietro avrebbe ordinato all'angelo di sbagliare per eccesso di misericordia piuttosto che di rigore; quindi Dante viene lasciato entrare, ma gli viene ricordato di non voltarsi indietro, pena la cacciata dal Purgatorio.


                              La parabola del figliol prodigo e del Padre misericordioso, Rembrandt

Prima che continui, due parole sulle chiavi di S.Pietro: sono una metafora dell'autorità del "principe degli Apostoli", conferitagli dal Cristo in Matteo 18.18, metafora poi divenuta un'immagine, per esempio nel S.Pietro che si trova nell'omonima basilica in Vaticano, fuso in bronzo da Arnolfo di Cambio, o in tante altre raffigurazioni, dove il Santo reca in mano le chiavi. Ancor oggi, il Vaticano ha come colori simbolo il bianco e il giallo, che non sono altro che l'argento e l'oro delle chiavi petrine. Quanto al fatto che il penitente non deve voltarsi indietro nel suo percorso, ciò significa che non deve ricadere nel peccato: e tutti ricorderanno la moglie di Lot, fuggita con la famiglia da Sodoma e Gomorra, a cui era stata fatta dall'angelo la stessa raccomandazione, ma che, per curiosità, si volse e divenne una statua di sale (cfr. Genesi 19,26; ma si pensi anche al mito di Orfeo ed Euridice).

Questo  rituale è di grande attualità, dato che siamo appena entrati nella Quaresima e, per di più, nella Quaresima di un Giubileo speciale:  quello della Misericordia, voluto da papa Francesco. Migliaia di pellegrini tutti i giorni (anch'io domenica scorsa a Roma) passano la porta santa, ora aperta in tutti gli angoli della Terra, per permettere a tutti di ricevere l'indulgenza, che annulla la penitenza dovuta per i peccati (l'assoluzione è un'altra cosa).

Il lato che più mi ha colpito di questo rituale è l'insistenza sul gradino di porfido rosso, il marmo dei principi, che serviva per le tombe degl'imperatori e dei faraoni, il gradino su cui poggia le piante l'angelo e che rappresenta la carità, cioè l'amore. Il perdono infatti si radica nell'amore e non è possibile senza di esso, così come non è possibile il pentimento senza amore. Spesso ci trasciniamo dietro un'idea balzana della confessione e dell'ammissione dei nostri peccati, come se si trattasse di un atto forzoso, indotto dalla costrizione; invece, è dovuto all'amore, al desiderio di riallacciare un rapporto d'amore con Qualcuno. Il perdono non è né un condono, né una cancellazione indebita del male, né una maniera di dimenticarlo, anzi: la verità richiede la memoria lucida di quanto è stato. "Perdono", in italiano, è il "Xdono", cioè un dono moltiplicato: implica cioè una volontà d'amore, di dono senza misura, per andare al di là del male, di cui si resta perfettamente coscienti. Senza quest'amore, la vita, la società, non possono andare avanti, bensì affogano nell'odio.

Il perdono non è cosa che l'essere umano riesca a compiere da solo. E' un dono soprannaturale, divino: tanti non lo capiscono. Perciò, riporto qui due esperienze che ho ricordato ai miei ragazzi. Quando nel dicembre 2006 avvenne la strage di Erba, durante la quale vennero trucidate 4 persone e una ferita molto gravemente (il piccolo Youssef, sua mamma Raffaella Castagna, la nonna, signora Paola Galli Castagna, e la vicina di casa, la signora Valeria Cherubini Frigerio; il ferito grave era il marito di quest'ultima, un uomo pieno di dignità che incappò negli assassini perché si era lanciato a spegnere l'incendio da loro appiccato per cancellare le tracce della mattanza), il sopravvissuto, il signor Carlo Castagna, cui era stata sterminata la famiglia, perdonò i presunti assassini. La notizia fece molto scalpore e suscitò una larga ondata di incomprensione: persino nella parrocchia dove lavoravo, in Svizzera, il suo gesto eroico fu liquidato con un C'est pas possible. Per tutta una serie di motivi nutro dei dubbi sui risultati di quel processo e non sono convinta che i due colpevoli siano proprio i vicini: ma comunque, chiunque essi siano, con grande dignità, pur convinto che i colpevoli dovessero scontare una pena adeguata, il signor Carlo, con la sua fede semplice, li perdonò. Metto qui un link a un servizio del telegiornale sul suo perdono, che fu un atto potente e luminoso per tanti:

https://www.youtube.com/watch?v=EEJtqx12c9o



Un altro esempio. Nel 2000, dopo la fine dell'apartheid, fu istituita in Sudafrica, per espresso volere di Nelson Mandela e ispirato alla sua politica di non violenza e perdono, la Truth and Reconciliation Commission (TRC), "Commissione per la verità e la riconciliazione", destinata a raccogliere le testimonianze dei carnefici e delle vittime di entrambe le parti, permettere, se possibile, il perdono per i crimini commessi e favorire così la riconciliazione. Vari rei confessi furono amnistiati. Al di là di limiti e perplessità, il tribunale ha ottenuto il suo scopo e  permesso la transizione verso una società non violenta: l'alternativa sarebbe stata (e questo scordano troppo spesso i suoi critici) lo sprofondare del Sudafrica in una ridda interminabile di faide e vendette sanguinose. Perciò il tribunale rappresenta finora il miglior esempio esistente di "giustizia riparativa", che va ben al di là della semplice punizione (che spesso, ammettiamolo, viene pretesa da alcuni con atteggiamenti di odio e disprezzo).
Vi inserisco qui il link al website del TRC:

http://www.justice.gov.za/trc/

Se il papa ha voluto istituire, in questo periodo di "Terza Guerra Mondiale a pezzi", come afferma lui, un Giubileo della Misericordia, è perché la Misericordia è per noi l'ultima spiaggia. Ed è un valore esclusivamente cristiano, ancorato nelle resurrezione. Misericordia significa Amore che va al di là del male, del peccato, della morte, dell'impossibile. Se ognuno di noi dovesse pagare il male che fa "occhio per occhio, dente per dente", in modo rigoroso, non si salverebbe più nessuno. "Se non diventi un po' più mite il mondo non può sussistere", afferma Abramo nel suo dialogo con Dio come esso viene immaginato da Thomas Mann nel suo affascinante romanzo Il giovane Giuseppe. La Misericordia manda avanti il mondo e ci permette di sopravvivere, perché ogni nuovo giorno è un atto di fiducia nei nostri confronti, da parte di Chi ci ama.

                                              

Nella Bolla di indizione del Giubileo straordinario della Misericordia (cfr. https://w2.vatican.va/content/francesco/it/apost_letters/documents/papa-francesco_bolla_20150411_misericordiae-vultus.html), il papa afferma:

Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, « ricco di misericordia » (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come « Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà » (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. (...) Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato.

Credo che ognuno di noi abbia bisogno di questo "amore per sempre".


                                                              L'immagine di Gesù misericordioso


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