sabato 13 febbraio 2016

Come ritrovare la strada di casa in una versione di latino...



Come ritrovare la strada di casa in una versione di latino....

Ecco qui il mio post su come fare le versioni di latino: e il titolo non è casuale, perché davvero, certuni dei miei allievi, davanti a un brano da tradurre, sembrano Dante nel  bel mezzo della selva oscura, Teseo nel labirinto senza il filo di Arianna oppure me in certe zone del pianeta senza GPS. Del resto, come avrebbe detto mio papà, una versione di latino è una BSA ("Bisogna saperci andà"), quindi...
Esistono norme precise di traduzione che, se seguite, affinano le capacità logiche, analitiche e di riflessione, capacità che  neanche la Matematica può plasmare in modo così efficace come il Latino. Vediamole ora nel dettaglio.


 
  1. Leggere la versione almeno 1-2 volte: di primo acchito il brano può sembrare un groviglio di parole, stile gomitolo di lana passato per le zampe di un gatto; ma già dopo le prime letture, cominciate a formarvi una vaga idea del contenuto e il vostro cervello inizia a decodificarlo (sì! Funziona!). Dopo, potrete cominciare a lavorare periodo per periodo.
  2. Sottolineare e analizzare tutti i verbi del periodo: il verbo (lo dice la parola stessa) è la parola base di ogni frase, intorno a cui si organizza il tutto; l'analisi permette di evitare quegli errori verbali che, di solito, sono segnati in blu (gravi).
  3. Individuare i soggetti dei verbi: impossibile trovare i soggetti se prima non sono stati segnati i verbi. Del resto, un'osservazione lapalissiana: se il verbo è plurale, lo sarà anche il soggetto, e così per il singolare....Ovviamente, oltre al soggetto, dovrete individuare anche tutto quel che è al nominativo (relativi attributi, apposizioni, complementi predicativi del soggetto e via dicendo).
  4. Nota a pie' di pagina: per individuare i soggetti, cioè i nominativi, ma anche per i complementi oggetti e così via, bisogna CONOSCERE A MEMORIA LE DECLINAZIONI. Eh, lo so! Imparare a memoria non va più tanto di moda, ma, in certi casi, è indispensabile! Proprio come gli esercizi alla sbarra per le ballerine.
  5. Rinvenire le congiunzioni (e i pronomi relativi): se i verbi sono l'ossatura del brano, le congiunzioni ne rappresentano le articolazioni, quindi necessitano di grande attenzione. Quando le avete individuate, avete fatto in pratica l'analisi del periodo, quindi avete capito come è suddiviso: dov'è la reggente, se ci sono coordinate e dove sono, quali sono le subordinate, se esplicite o implicite ecc.ecc.ecc. A questo punto, il "groviglio" è  diventato qualcosa di più chiaro e coerente: se queste prime fasi vengono fatte adeguatamente, il 60% degli errori in genere e, forse il 90% degli errori gravi è eliminato e diventa estremamente difficile che venga sballata la versione. In questo caso, avete il 6 assicurato.

  1. A questo punto, potrete individuare i complementi oggetti (se ci sono) e tutto quello che va all'accusativo (apposizioni e attributi del complemento oggetto e così via). Ricordo che l'Accusativo è uno dei casi più facili da individuare, perché, almeno al singolare, ha sempre la desinenza in m....(qualcuno se n'era accorto?).
  2. Infine, è la volta dei complementi indiretti: anche in questo caso, bisogna individuare non solo la preposizione con il caso che le si confà (ricordo alla gentile clientela, che in Latino ogni preposizione richiede un caso specifico: per es., ad vuole l'Acc., ab l'Abl. ecc.), ma anche tutti i termini, aggettivi e simili, del caso in questione. Attenzione al Genitivo: è sempre attaccato a un altro caso, ad esempio a un soggetto, a un complemento oggetto o a un complemento indiretto; quindi deve essere tradotto per ultimo.
  3. Solo a questo punto è il momento di impiegare il dizionario. I ragazzi tendono a usarlo come dei naufraghi la zattera di salvataggio fin dalle prime fasi del lavoro di traduzione, ma così non serve: infatti, se non viene compiuta l'analisi del periodo prima, il vocabolario viene usato a caso. Con i risultati che si possono ben immaginare....Preciso che ci vuole un ordine anche nella ricerca delle parole: prima i nomi (che indicano le cose concrete di cui si sta parlando), poi gli aggettivi (legati ai nomi), infine i verbi, che significando qualcosa di più astratto come un'azione, si collocano male se non comprendiamo "le cose" al centro del discorso.
  4. Quando la traduzione è finita, è necessaria una rilettura generale (e poi, come dice il mio Dario, bisogna copiare in bella). Una precisazione: quando avete fatto un errore, di solito, la vostra coscienza profonda ve lo rivela con un vago disagio che avvertite al rileggere il punto in questione. E' come se aveste dentro di voi una sorta di "grillo parlante latinista", che vi fa sentire come, in certi punti, c'è qualcosa che non va. Vero è che in alcuni questo tipo di coscienza latinista è molto arrugginito, oppure sordo come un campanaccio, se non è già stato preso a martellate e quindi morto e sepolto; però, se ascoltate la vostra pancia, di solito lo sentite fare "cri cri"....

Un'ultima osservazione. Negli ultimi anni è invalsa nella scuola una sorta di pigrizia generalizzata nei confronti del Latino, il che lo fa evitare, se non disprezzare, come materia. Ma sullo studio del Latino e dei grandi classici è fondata la nostra cultura europea. Tralascio qui la letteratura latina che è splendida e che, ancor oggi, è un cibo indispensabile per la mente; però, come dicevo prima, la traduzione sviluppa le capacità analitiche e logiche. Io ne avevo poche, ma, quando mi sono ritrovata all'università, mi sono resa conto di quanto il minuzioso lavoro di traduzione mi avesse aiutato a sviluppare quello che per me era da sempre un punto debole. E, quando qualche anno dopo i miei allievi mi hanno chiesto: "Prof, a cosa serve il latino?", io ho risposto in una  maniera che, i seguito, suscitò il loro entusiasmo: "A risolvere i casi criminali!". Sì, perché, quando nella mia associazione di volontariato studiavo i processi e gl'incartamenti penali, mi sono accorta di quanto l'acume affinato in me dal Latino (e dal Greco) mi stesse aiutando. Ecco perché a Friburgo mi chiamavano talvolta, non Magri, ma Maigret...

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